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IL III/185° e il XII/184°
“Nembo”
 


Un simbolo di fede, un impegno d’onore

La confusione morale e le incertezze d’azione scaturite dall’annuncio dell’armistizio fra i reparti italiani, ebbero in Calabria, fra i paracadutisti del 185° Rgt. della “Nembo”, l’aspetto più emblematico. Dei tre btg. del 185° in ritirata sulle strade calabresi, l’8°, coinvolto tra Gambarie, Bagaladi e San Lorenzo d’Aspromonte in un impari combattimento lo stesso giorno dell’armistizio da reparti nemici della 1° div. Fanteria Canadese, veniva smembrato e travolto; l’11° rimase inattivo in attesa dell’evolversi degli eventi fra Cardinale e Soneria Mannelli; il 3°, al comando del Cap. Edoardo Sala, scelse la via della continuità e del rispetto delle alleanze, schierandosi senza esitazioni al fianco dell’alleato germanico. Erano giorni terribili e sconvolgenti; ovunque si avvertiva un’atmosfera di abbandono, prostrazione morale e di smarrimento visibile dolorosamente sulle strade con autoveicoli e armi abbandonate e lasciate sui bordi; nei magazzini  effetti ed equipaggiamenti militari abbandonati e saccheggiati, materiali distrutti e lasciati come simbolo di uno sfacelo di cui allora non si intravedeva ancora la portata, le conseguenze, il peso che avrebbero sopportato intere generazioni d’italiani. Mentre le truppe germaniche in ritirata si garantivano da ogni sorpresa con ostruzioni stradali per rallentare l’avanzata alleata, le unità inglesi avanzanti in Calabria si comportavano in forma violenta e moralmente offensiva nei confronti dei soldati italiani procedendo al loro disarmo fra soprusi e umiliazioni. Ciò avvenne soprattutto nei riguardi dei reparti della Div. Ftr. “Mantova” e del XXXI Corpo d’Armata da cui dipendeva tatticamente il 185° Rgt. Paracadutisti “Nembo”, tanto da far ritenere più che legittima quella istintiva ribellione dei paracadutisti del III Btg. “Sala”:
“9 settembre 1943 – ore 22:00 – Signor Maggiore, il nemico non deve avere le nostre armi e noi le portiamo in salvo perché alla Patria possono ancora servire e la nostra fede e la nostra vita anche. Per l’onore d’Italia” (Questo il messaggio inviato dal Capitano Edoardo Sala al Maggiore Angelo Massimino Comandante ad interim del 185° Rgt. “Nembo”, allorché il III Btg. decise di proseguire la lotta accanto ai tedeschi).

I  Paracadutisti della R.S.I.: “8-9-1943 Per l’onore d’Italia”

Fu in questo deprimente scenario di desolazione, che i paracadutisti del III Btg. giunti a Soveria Mannelli, trovarono abbandonati nelle strade rotoli di nastro per decorazioni e fra questi un nastro di colore nero bordato ai lati di tricolore: un simbolo eloquente di lutto per la tragedia che la Patria stava vivendo in quel momento e nel contempo una speranza per il futuro destino dell’Italia. Il Cap. Sala volle far suo quel simbolo e dispose che un pezzo di nastro fosse consegnato ad ogni paracadutista del battaglione quasi come un impegno di fede, un atto di volontà di combattere ancora, senza contropartita alcuna, per l’Italia. In seguito furono aggiunte sul nero, ricamate in oro, la data 8-9-1943, per ricordare sia l’armistizio che il giorno della “ribellione” e la frase “Per l’onore d’Italia” che lo stesso Cap. Sala aveva scritto in calce al messaggio con cui annunciava al Comandante di Reggimento la sua decisione di continuare la guerra contro gli anglo-americani. Una frase che assurgerà a simbolo collettivo di fede per tutte le FF.AA. della R.S.I..

I “ribelli” per l’Onore d’Italia

Mentre i due battaglioni III e XII della “Nembo” seguivano in Calabria e Sardegna le loro rispettive sorti combattendo assieme alle G.U. germaniche sia nella testa di sbarco di Salerno, sia per traghettare in Corsica, si ebbero i primi caduti italiani, a sanzionare, ove fosse stata ancora necessaria una tangibile conferma, che la scelta fatta portava solo al sacrificio, al riscatto dell’onore col combattimento, al ritrovato senso del rispetto alla rinnovata stima dell’alleato germanico. Così i giovani “ribelli” dei due battaglioni, all’invitante “tutti a casa”, avevano preso il “tutti al fronte”, alla resa incondizionata l’incondizionata dedizione al dovere militare, al disonore il senso dell’onore, alla salvezza fisica l’offerta del sangue: una serie questa, di “colpe gravissime” che un giorno i “vincitori” avrebbero fatto pagare pesantemente a molti di loro. “Io mi rifiuto di ubbidire all’ordine di tradire la Patria e di passare al nemico perché questo è un diritto e un dovere militare. Quindi io, con il mio battaglione continuo la guerra da leale alleato al fianco della Germania” (Dal diario di guerra della Medaglia d’Oro al Valor Militare Magg. Mario Rizzatti).

I primi caduti per l’Onore d’Italia

I primi feriti del XII Btg. “Rizzatti” si ebbero in Sardegna già la sera del 10 settembre sulla strada che porta da Macomer ad Ozieri, ad opera di badogliani isolati, che tentavano con sporadiche sparatorie di provocare i tedeschi della 90° Panzer Grenadier in ritirata verso i porti del nord. I badogliani non esitarono ad aprire il fuoco anche contro altri italiani e colpirono alcuni paracadutisti; segno premonitore, questo, che la guerra fra italiani, voluta dagli anglo-americani con la connivenza di Badoglio, stava diventando una triste realtà. Il giorno 11 anche il III Btg. “Sala” fu coinvolto nella zona di Altamura assieme a reparti della 29° Panzer Grenadier. Caddero i paracadutisti Bussolini Giordano, Franceschini Primo, Palazzo Aldo, Solari Dino, Vulcani Tullio, D’Anna Mario; un pesante tributo di sangue cui si aggiunse il giorno 13 la morte del paracadutista Zucca Giuseppe, caduto nella zona di Eboli fra i fallschirmjager della 1° Divisione “Heydrich”.

 La Battaglia di Salerno

Dopo alterne vicende, che videro le unità alleate sull'orlo del disastro, a causa dell'accanita resistenza tedesca e del rapido afflusso sulla testa di ponte di divisioni di riserva che contrattaccarono decisamente i reparti anglo-americani fu deciso un aviolancio della 82° div. Airborne a sostegno delle unità di terra fra Salerno e Avellino.

L'azione di aviolancio fu iniziata alle ore 23.15 del 13 settembre, con il lancio di un grosso reparto di genieri col compito di approntare la prevista zona di lancio e di segnalarla opportunamente; 25 minuti più tardi 90 C. 47 da trasporto scaraventavano in una ristretta zona pianeggiante 1.300 paracadutisti del 504° Rgt. USA. Il giorno succesivo121 Dakota lanciavano altri 1.900 uomini del 505°, e contemporaneamente 50 aerei bimotori lanciavano alle spalle dei tedeschi nella zona di Avellino, un battaglione di fanteria aviotrasportata e una compagnia di pionieri. Quest'ultima non ben coordinata non sortì alcun effetto psicologico, soprattutto per l'errore di lancio previsto su altra zona e in buona parte per la insufficiente preparazione dei parà americani alla loro prima azione di guerra unita ad una scarsa esperienza combattiva. L'intero reparto venne catturato dopo scarsa resistenza, ed alle operazioni di rastrellamento parteciparono anche i paracadutisti del III btg del Cap. Sala che in ripiegamento dalla Calabria erano stati inviati unitamente alla 29° Panzer Grenadier. a partecipare alle operazioni di antisbarco nella testa di ponte di Salerno.

L'episodio viene ricordato anche perché durante la marcia notturna di trasferimento,  l'autocolonna su cui viaggiavano i paracadutisti venne fatta segno a violento bombardamento aereo. L'automezzo su cui viaggiava il Cap. Sala, colpito dallo spostamento d'aria di una bomba d'aereo, si rovesciò nella scarpata della strada imprigionando la gamba dell'ufficiale fra lo sportello e la cabina. Senza perdere tempo i parà provvidero a puntellare l'automezzo che slittava verso il fondo della scarpata trascinando anche il capitano, e successivamente a sollevare l'auto liberando la gamba che si era molto gonfiata, avute le prime cure da un medico fu trasferito al vicino ospedale da campo di Salerno. Guarito il capitano Sala, il 19 settembre il III btg passava alle dipendenze della 1° div. Paracadutisti "Heydrich" dal quale riceveva la notizia della costituzione di un raggruppamento di paracadutisti italiani da attuarsi in una zona posta nelle vicinanze di Roma.

 

La difficile risalita

Il giorno 14 caddero in Sardegna i paracadutisti Da Cumulo Antonio e Aldo Colin fatti segno a tiri di fucileria nella zona di Tempio Pausania mentre il XII Btg. si apprestava a traghettare da S. Teresa di Gallura alla volta di Bonifacio-Porto Vecchio in Corsica. Mentre l’abbandono della Sardegna aveva comportato alcune scaramucce isolate dovute più ad iniziative di singoli che a preordinate azioni offensive nei confronti delle FF.AA. germaniche, le operazioni in Corsica assunsero l’aspetto di veri e propri atti di guerra da parte del Comando  italiano dell’isola che si giovava dell’apporto di formazioni degolliste e del “Maquis”. Il giorno 13 si accendevano i primi combattimenti nella zona di Zonza fra tedeschi e italiani, appoggiati questi ultimi da bande “Maquis”, nel tentativo di arrestare il movimento di ritirata in direzione sud-nord che i reparti germanici stavano attuando sulla costa orientale della Corsica, nel tentativo di raggiungere da Bonifacio, via S. Lucia-Ghisonaccia-Casamozza-Borgo, il porto di Bastia dove intendevano imbarcarsi per portarsi sul continente italiano. Scontri di reparti della Div. Ftr. “Cremona” si verificarono a Levie, Zonza, Quenza, Aullene, Zicavo contro formazioni motocorazzate della 90° Pz. Gr. Div. Appoggiate dai paracadutisti del Btg XII “Rizzatti”. Si ebbero morti fra italiani da una parte e dall’altra. Era ormai in atto quella guerra fratricida che l’armistizio badogliano covava inevitabilmente nei suoi articoli e nell’impostazione voluta dagli alleati. Dal 15 al 17 settembre il XII combatteva in Corsica subendo gravi perdite (6 morti fra cui il S. Ten. Cagna Vallino Antonio, i serg. Amelio Tranquillo e Spaterna Bruno, i cap.li Giovanni Brancher e Guido Vaccaio, il paracadutista De Dominicis Antonio) e 20 feriti, e ricevendo il vivo elogio del Gen. Lungerhausen Comandante della 90° Pz. Grenadier. Dal 20 al 21 settembre il  XII Btg. copriva la ritirata da Portovecchio a Bastia della 19° Brigata Pz. Gr. subendo bombardamenti aerei e battendosi contro formazioni degolliste, e il giorno 22, assolto con onore e disciplina il suo compito veniva trasportato a bordo di Ju. 52 a Pisa, da dove proseguiva la stessa notte via ferrovia, a Pistoia già sede del 183° Rgt. par. della “Nembo”.

Dal canto suo, il III Btg. lasciava il 19 settembre la dipendenza tattica della 29° Pz. Gr. Divisione avviata, di nuovo, a Salerno e passava alla dipendenza tattica della 1° Div. Paracadutisti “Heydrich” operando in collaborazione con i fallschirmjager tedeschi nella fase della ritirata dalle Puglie in Basilicata fra Eboli, Rionero, Altamura, e combattendo nella zona di Avellino contro paracadutisti americani aviolanciati nelle retrovie della testa di ponte di Salerno. Sul finire del mese anche il III/185° veniva rilasciato dalla 1° Paracadutisti e si portava a Roma dove ai primi di ottobre si univa al XII/184° proveniente da Pistoia e acquartierato fra Bracciano e Maccarese.

I due reparti della “Nembo” erano stati assegnati alla competenza operativa della 2° Div. Paracadutisti “Ramcke” dislocata sul litorale laziale da Pratica di Mare a Fiumicino. Essi raccordavano, fra Focene, Maccarese, Ladispoli, Furbara, Santa Severa, il tratto nord del litorale laziale, schierati a difesa da eventuali sbarchi alleati.

 

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